Citywire
• Osservatorio Global Bonds •
In seguito alla riunione del proprio Comitato Esecutivo (Fomc – Federal Open Market Committee) del 12/ 13 giugno, la Fed ha, come ampiamente previsto, alzato di 25 punti base il tasso di riferimento portandolo all’intervallo 1.75% – 2%. Si tratta del settimo ritocco del costo del denaro – tutti di pari entità – da dicembre 2015.
L’istituto presieduto da Jerome Powell ha, inoltre, rivisto leggermente al rialzo le stime riguardo a crescita economica e inflazione nel medio termine e al ribasso quelle inerenti alla disoccupazione e prevede attualmente di proseguire nella stretta monetaria ritoccando il costo del denaro altre due volte entro la fine dell’anno in corso e tre nel 2019.
E’ stato, infine, confermato il piano di riduzione delle dimensioni del bilancio della Banca Centrale, il cui ammontare mensile – come annunciato – salirà a 40 miliardi di dollari mensili a partire da luglio e a 50 miliardi da settembre.
Di tenore molto più espansivo sono, invece, state le decisioni e la “forward guidance” dell’Eurotower. La Bce, infatti, il 14 giugno ha mantenuto invariati a zero e -0.40% il tasso di riferimento e quello sui depositi bancari a un anno, esprimendo l’intenzione di non rialzarli prima dell’estate 2019. Le dimensioni mensili del programma di acquisti di titoli di Stato e Corporate, inoltre – oggi pari a 30 miliardi di Euro – diminuiranno a 15 miliardi negli ultimi tre mesi dell’anno al termine dei quali il QE dovrebbe terminare se la dinamica di crescita e inflazione non si discosterà dalle attuali previsioni dell’Eurotower.
Gli economisti di Francoforte, in tal senso, hanno rivisto leggermente al ribasso le stime circa la variazione del PIL europeo nel 2018 e moderatamente al rialzo quelle inerenti all’inflazione nell’anno in corso e nel prossimo ma Draghi ha sottolineato a più riprese l’esistenza di rischi – derivanti soprattutto da fattori esogeni quali il protezionismo – in grado di limitare crescita e prezzi nel medio termine.
Le suddette decisioni avrebbero verosimilmente innescato un’ulteriore risalita e irripidimento della curva dei Governativi statunitensi e una flessione dei corrispettivi europei. Tali movimenti di mercato, tuttavia, sono avvenuti solo in minima parte a causa delle tensioni geopolitiche legate alle crescenti tensioni commerciali su scala globale. L’annuncio di dazi sulle importazioni cinesi da parte degli Usa e la risposta egualmente bellicosa da parte di Pechino, hanno infatti aumentato l’appeal degli asset considerati sicuri.
A giugno, in tal senso, il rendimento del Treasury a due anni è salito di una decina di punti base solamente e quello del decennale è rimasto invariato. Il costo del servizio al debito tedesco, invece, dopo la flessione di maggio, è leggermente aumentato lungo tutto lo spettro delle scadenze.
I rendimenti dei Btp, dopo essere balzati di 300 punti base sulla parte breve della curva e di oltre 100 su quella lunga a fine maggio in virtù dell’incertezza politica a Roma, sono tornati a scendere moderatamente in seguito all’insediamento del Governo Conte, ma rimangono ampiamente superiori sia ai livelli di inizio maggio sia soprattutto a quelli che caratterizzano oggi tutti gli altri Paesi dell’Unione a eccezione della sola Grecia.
Il biennale del nostro Paese rende oggi poco meno dello 0.8% e il decennale il 2.7% circa, valori che contraddistinguono mediamente anche il costo del debito delle principali banche italiane anch’esse colpite dall’ondata di vendite di fine maggio. L’attenzione dei mercati si focalizza, in tal senso, soprattutto, sulle intenzioni del neonato Esecutivo italiano in materia di disciplina fiscale e di rapporti con le Istituzioni europee.
Anche gli spread creditizi hanno avuto andamento differente sulle due sponde dell’Atlantico: il differenziale di rendimento tra titoli Investment Grade e High yield dollarodenominati e Treasury è infatti rimasto sostanzialmente invariato – su livelli molto contenuti – a giugno quando è invece proseguita la risalita dei corporate spread (High Yield in particolare) in Europa.
La succitata stretta monetaria da parte della Fed, sommandosi alle tensioni commerciali e all’avvicinarsi delle Elezioni politiche in numerosi paesi sudamericani e asiatici ha infine nociuto ai titoli di Stato e alle divise dei Paesi Emergenti. Particolarmente critica in tale contesto appare la condizione della Turchia, la cui curva è balzata di oltre 400 punti base da inizio anno ed è ora invertita, in virtù dell’incremento del tasso di riferimento implementato per frenare il crollo della Lira sul mercato dei cambi e delle Elezioni Generali che hanno confermato Erdogan alla guida del Paese.
In un’ottica di medio periodo, pare preferibile il mantenimento di una breve duration di portafoglio, privilegiando in prima istanza i titoli a tasso variabile denominati in Dollari USA in grado di fornire discreti rendimenti su scadenze limitate. Nell’area Euro, invece, gli attuali livelli degli yield dei titoli sovrani dei Paesi “Core” appaiono eccessivamente bassi, e i bond italiani – il cui rendimento è superiore – potrebbero essere interessati da volatilità in caso di nuovi scontri tra Esecutivo e Commissione Europea.