Economia e Finanza

Citywire

• Osservatorio Global Bonds •

In seguito alla riunione del Comitato Esecutivo del 18 e 19 dicembre, la Fed ha – come previsto – alzato di 25 punti base il tasso di riferimento per la quarta volta nel 2018 portandolo all’intervallo 2,25%-2,5%.

Il governatore, Jerome Powell, si è invece discostato dalle attese del mercato – che auspicava un atteggiamento più accomodante – rendendo noto che la banca centrale prevede attualmente di rialzare il costo del denaro due volte nel 2019 (rispetto ai tre ritocchi stimati a settembre e all’uno oggi prezzato dal mercato) e una ulteriore nel 2020 e intende proseguire nella riduzione delle dimensioni del proprio bilancio non riacquistando titoli in scadenza per un ammontare di 50 miliardi di dollari al mese. A delineare il quadro è l’Osservatorio Citywire Global Bonds di dicembre, a cura del Centro Studi Tosetti Value.
I vertici di Constitution Avenue – pur avendo leggermente rivisto al ribasso le previsioni di crescita del Pil nel 2019 – hanno confermato il proprio ottimismo circa le prospettive dell’economia Usa, sottolineando in particolare la solidità della domanda e del mercato del lavoro. Anche in questo caso la comunicazione della Fed è apparsa dicotomica rispetto al sentiment piuttosto negativo che caratterizza il mondo finanziario dallo scorso ottobre.

Benché più restrittive del previsto, le dichiarazioni di intenti dell’autorità monetaria nordamericana hanno innescato un ulteriore calo e appiattimento della curva dei Treasury: il decennale di Washington presenta uno yield inferiore al 2,8% e il differenziale di rendimento tra i governativi a due e dieci anni si aggira intorno ai 10 punti base solamente. Tale movimento di mercato è chiaramente legato alla ricerca di asset considerati sicuri da parte degli investitori la cui propensione al rischio si è sensibilmente ridotta nelle ultime settimane.
La dinamica – simile anche se più contenuta nelle dimensioni – dei rendimenti dei Bund tedeschi di medio-lunga scadenza riflette la medesima avversione al rischio. Da fine novembre i titoli di Stato di Berlino decennali si sono apprezzati e il decennale rende ora meno dello 0,25%, ovvero quasi 20 punti base meno che a inizio anno, nonostante la Bce prosegua almeno per il momento nel normalizzare la propria politica monetaria.

Il 13 dicembre, infatti, Mario Draghi ha confermato che il programma di Quantitative Easing iniziato nel 2015 termina il 31 dicembre e ribadito che l’Eurotower potrebbe alzare il tasso di riferimento a cavallo della prossima estate.

Anche il costo del servizio al debito italiano si è ridotto – di circa quaranta punti base lungo tutto lo spettro delle scadenze – a dicembre. In questo caso la ragione è tuttavia prettamente politica e attiene all’accordo tra Roma e Bruxelles riguardo alla legge di bilancio 2019 italiana, che il governo Conte ha modificato per scongiurare la procedura d’infrazione sul deficit minacciata dalla Commissione europea.
Le prospettive di medio periodo dei governativi denominati in dollari e soprattutto in euro, tuttavia, appaiono molto incerte. Al rischio di mercato – legato a una eventuale accelerazione della crescita in grado di rilanciare inflazione e propensione al rischio e di spingere le banche centrali ad accelerare anche solo leggermente la stretta monetaria – si somma, in molti casi, il rischio di credito connesso alle condizioni fiscali degli Usa, destinati a registrare un deficit/Pil vicino al 5%, e all’Italia.

Nonostante il succitato compromesso con la Commissione, infatti, la debolezza dell’economia italiana farà probabilmente lievitare ulteriormente il già elevatissimo debito pubblico del nostro Paese, che eccede il 130% del Pil, mettendone potenzialmente a repentaglio la sostenibilità.

Se la stretta della Fed e la fine del Qe della Bce non hanno per il momento avuto pesanti ripercussioni sui governativi, esse stanno invece progressivamente allargando gli spread creditizi in ambito investment grade e soprattutto high yield. I rendimenti dei titoli high yield europei e statunitensi, in tal senso, sono aumentati da inizio dicembre di 23 e 70 punti base, rispettivamente, e si attestano ora mediamente intorno al 4,5% e al 5%, in ambedue i casi massimo da oltre due anni.
Nell’attuale contesto le migliori opportunità di mercato – pur soggette al rischio valutario potenzialmente in grado di modificarne anche sensibilmente il ritorno per un investitore europeo – sembrano essere rappresentate dai titoli a tasso variabile o fisso (sulle brevi scadenze) corporate investment grade in dollari, che offrono yield superiori al 3%. Migliori rispetto al recente passato paiono anche le prospettive dei governativi in valuta emergente – in considerazione delle limitate pressioni inflattive che caratterizzano numerosi paesi asiatici e sudamericani e dell’elevato rendimento – che sono stati oggetto di pesanti vendite nei primi nove mesi del 2018.