Economia e Finanza

Citywire

• Osservatorio Global Bonds •

Nel corso dell’ultimo bimestre, nessuna delle principali Banche Centrali – sia nei paesi industrializzati sia negli emergenti – ha segnalato imminenti modifiche della politica monetaria, destinata in tutti i casi a mantenersi neutrale laddove non apertamente espansiva, almeno nel medio periodo.
Dai “minutes” della riunione della Fed dello scorso 30 aprile/ 1° maggio, infatti, si evince chiaramente l’intenzione di lasciare inalterato il costo del denaro all’intervallo 2.25% – 2.50% per tutto l’anno in corso, in considerazione delle buone condizioni di economia e mercato del lavoro e nonostante il recente lieve calo dell’inflazione, definito verosimilmente transitorio. La BCE stando alle più recenti dichiarazioni di alcuni membri del Comitato Esecutivo, appare preoccupata del rallentamento economico e dell’anemica inflazione che caratterizza il Vecchio Continente e non esclude, pertanto, l’implementazione di nuove misure di stimolo in mancanza di una progressiva riaccelerazione. Nessuna novità proviene dalle Banche Centrali di Giappone, Svizzera, Danimarca e Svezia, le quali proseguono nella repressione monetaria che si traduce nella gestione della curva dei Governativi nel caso nipponico e in tassi di riferimento abbondantemente negativi nelle economie elvetica e scandinave.
Le autorità monetarie canadese e australiana, inoltre, hanno mantenuto invariato il tasso di riferimento che nel caso di Canberra è pari all’1.5%, minimo storico. La medesima Cina, pur sinora astenutasi dalla modifica del costo del denaro, continua ad allentare le condizioni monetarie attraverso la riduzione delle riserve bancarie obbligatorie e alle iniezioni di liquidità nel sistema finanziario. Allo scopo di favorire le proprie economie tramite il rilancio di consumi e investimenti, infine, quasi tutte le banche centrali dei Paesi Emergenti – Russia, Brasile, India, Indonesia, Sud Africa e Messico, caratterizzati oggi da modeste pressioni inflattive – proseguono nel ciclo monetario espansivo e non prevedono alcuna stretta in tempi brevi. L’unica eccezione, in tal senso, è rappresentata dalla Norvegia, la cui Autorità Monetaria prevede di rialzare nuovamente il tasso di riferimento nel corso del 2019 dopo l’incremento di 25 punti base del medesimo implementato lo scorso marzo.

A tali dichiarazioni di intenti – unanimemente espansive – già in grado di impedire la risalita delle curve dei rendimenti dei titoli di Stato, nelle ultime settimane sono andati sommandosi i crescenti timori di un rallentamento economico planetario e soprattutto di una escalation delle diatribe commerciali che oppongono Washington a Pechino. Il Presidente Trump, infatti, ha portato al 25% dal precedente 10% i dazi sulle importazioni di 200 miliardi di dollari di importazioni annue dalla Cina e minacciato di sottoporre a tariffe di eguale portata gli ultimi 300 miliardi annui di prodotti cinesi oggi liberi da tasse doganali. La controparte asiatica ha immediatamente minacciato ritorsioni. Gli yield di grandissima parte dei titoli di Stato, pertanto, sono ulteriormente diminuiti lungo tutto l’arco delle scadenze. I Treasury americani a due e dieci anni rendono oggi poco meno del 2.15% e del 2.30%, rispettivamente una quindicina e una quarantina di punti base meno che a inizio maggio e alla fine del 2018. Da fine aprile sono sensibilmente calati anche i rendimenti dei Governativi europei, sia “core” sia periferici. Il costo del servizio al debito decennale tedesco, spagnolo e portoghese si attesta attualmente a -0.15%, 0.73% e 0.85%, valori in tutti i casi minimi dall’introduzione della Moneta Unica.

Persino la Grecia ha registrato un marcato decremento dei rendimenti, oggi di poco superiori al 3% su scadenza a dieci anni. Ancor più marcata è la flessione degli yield del debito pubblico emergente, sia sulla parte breve sia sulla lunga delle curve. Emblematico, in tal senso, è il fatto che il decennale brasiliano renda ora poco più dell’8.5%, valore più basso mai registratosi. Il quadro dei Governativi sopra descritto presenta poche eccezioni, legate a idiosincrasie locali di natura prettamente politica. I titoli di Stato italiani – i cui rendimenti a due e dieci anni sono aumentati di una decina di punti base a maggio e sono pari allo 0.60% e al 2.65% – continuano a essere contraddistinti da volatilità abbondantemente superiore a quelli degli altri Paesi europei. A gravare sul Nostro Paese sono le incerte prospettive economiche e le decisioni e promesse dell’Esecutivo, potenzialmente in grado di peggiorare in misura consistente le già non ottimali condizioni dei conti pubblici. Il Fondo Monetario Internazionale, infatti, prevede che il rapporto deficit/ PIL – lungi dal ridursi come auspicabile – sia destinato ad aumentare dal 2.1% del 2018 al 2.7% del PIL nel 2019 e al 3.4% nel 2020, eccedendo le regole comunitarie, qualora il Governo non incrementi l’IVA (provvedimento che i partiti di maggioranza escludono al momento categoricamente).

In ambito emergente permane molto difficile la situazione della Turchia caratterizzata da tensioni sociali, dalle derive autoritarie del Presidente Erdogan e dalla limitata indipendenza della Banca Centrale. In controtendenza rispetto alla sopra descritta generalizzata flessione del costo del servizio al debito sovrano, gli spread creditizi – pur mantenendosi su livelli abbondantemente inferiori a quelli di inizio anno – si sono ampliati a maggio dello 0.15% base circa in ambito Investment Grade (sia in Euro sia in Dollari) e sono aumentati di una quarantina e sessantina di punti base in area High Yield rispettivamente nel Vecchio Continente e negli USA.

Sul debito Corporate di minore qualità ha pesato il combinato disposto dei timori di rallentamento economico e l’avversione al rischio che ha contraddistinto le ultime settimane. Nel contesto attuale, dando per estremamente probabile la prosecuzione almeno nel medio periodo della politica al più neutrale delle Banche Centrali e in considerazione dei rendimenti minimi che caratterizzano ampie aree del mercato obbligazionario (in Europa in modo particolare), le migliori opportunità continuano a essere rappresentate dai bond corporate e governativi nordamericani di breve scadenza (2 – 3 anni) e dai Governativi di numerosi Paesi Emergenti sia in valuta forte sia locale.

A tali segmenti si aggiunge il debito delle aziende emergenti denominato in Dollari, in grado di offrire rendimenti particolarmente attraenti a fronte di una crescente liquidità e di una volatilità attualmente ben più contenuta del recente passato. Certamente positivo, inoltre, è l’incremento della differenziazione settoriale dell’obbligazionario Corporate emergente, universo all’interno di cui il peso dei finanziari – pur ancora elevato (30%) – è abbondantemente calato negli ultimi anni.

Se, infine, oggi il rischio finanziario appare decisamente sopito, quelli di natura creditizia permangono potenzialmente elevati non solo in Italia, ma anche negli USA – dove il debito pubblico è vicino al 100% e il deficit va aumentando – e in alcuni Paesi Emergenti quali il Brasile – che presenta un deficit superiore al 6% del PIL – e la Cina – contraddistinta da indebitamente interno totale superiore al 220% del PIL.

 

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER