Per una lettura macroeconomica della mostra di Olivo Barbieri
Testo a cura di Giuseppe Berta (Università Bocconi)
Chi teme che il cambiamento politico in corso in Occidente possa provocare un allontanamento rispetto all’Asia e alla sua realtà maggiore, la Cina, fino a sfociare in un processo di divergenza, farà bene a considerare con attenzione le immagini che Olivo Barbieri ha tratto dai suoi prolungati soggiorni in Asia, a cominciare proprio dalle città cinesi, colte nella loro metamorfosi in un arco di tempo quasi trentennale.
Esse ci rivelano moltissimo del paesaggio mondiale della modernità, così come si è definito nel trapasso fluido dalla fine del Ventesimo al Ventunesimo secolo. Ci inducono a domandarci se potremmo mai definire la nostra modernità secondo linguaggi e canoni che non siano stati plasmati dall’esperienza asiatica e cinese.
Non a caso, lo sguardo di Olivo Barbieri percepisce la realtà come un work in progress: le sue fotografie prima ritraggono un universo urbano in cui passato, presente e futuro coesistono, anche se già s’intuisce che sarà l’ultima dimensione, quella del domani, a prevalere sulle altre, fino a fagocitarle. Saranno i grattacieli, gli immensi snodi stradali, i gangli formati dai reticoli degli assi di comunicazione a definire l’ambiente in cui si collocherà la vita delle persone.
Nulla di tutto questo, però, può essere scambiato come una semplice riproduzione di un timbro occidentale, destinato a cancellare le preesistenti forme orientali. Per accorgersene basta soffermarsi sui caratteri che gli assetti urbani via via assumono: non è soltanto un gigantismo che è ignoto all’Occidente con una tale radicalità a generare un’impressione di inedito e di inusitato. Certo, il senso di vastità è una componente fondamentale di questa raffigurazione della modernità, ma non è l’unico: a osservare bene, si ravvisa in ogni spazio urbano una sorta di reinterpretazione di canoni funzionali ed estetici appresi, sì, dall’Occidente, ma allo stesso tempo rivisitati e declinati sotto un’inconfondibile specie asiatica.
Le foto di Barbieri consolidano l’idea che siano l’Asia e la Cina a fissare il paradigma attuale della modernità, secondo criteri e logiche che, anche quando sussumono l’esperienza occidentale, la reinventano a loro misura. Una misura sconfinata, quasi sconcertante ai nostri occhi.
Forse è ancora troppo presto per sostenere che il nostro secolo, il Ventunesimo, sarà il secolo dell’Asia, come il precedente è stato il “secolo americano”. Ma senza dubbio il tempo presente reca la cifra dell’Oriente in tutte le sue manifestazioni fondamentali, come ci dicono anche le immagini di Barbieri che non riguardano la Cina. In ognuna di essi è visibile un’impronta specifica che rivela un modo d’intendere il moderno diverso da quello in cui la società e la cultura occidentali si sono formati. Quest’impronta ora condiziona anche la nostra mentalità, il nostro stesso stile occidentale, se è vero che già ora le nostre forme urbane, i nostri edifici mostrano l’influsso dell’Oriente che sta incidendo sulla nostra sensibilità e il nostro gusto.
Non accade così, del resto, anche nell’economia contemporanea? Potremmo ancora analizzare i fatti economici secondo i parametri di trenta o quarant’anni fa, quando l’ascesa del mondo asiatico non era ancora prepotente come adesso? Sicuramente no, perché la nostra comprensione del processo economico globale si è modellata a partire dalla presenza dei nuovi protagonisti. L’essere diventati globali ha coinciso con l’aver imparato a confrontarci con realtà e schemi che non ci appartenevano.
Oggi il destino della globalizzazione appare assai più precario e incerto rispetto soltanto a un anno fa. Hanno fatto la loro comparsa tendenze e fenomeni che pretendono di mettere in questione, se non addirittura di revocare, il recente passato. I messaggi del nazionalismo e del protezionismo che sembravano propri di un’epoca lontana dalla nostra si riprendono la scena.
È indubitabile che lo scacchiere geopolitico ne risentirà, così come è innegabile che alcune certezze risultino scosse e divengano controverse. Ma le fotografie di Olivo Barbieri rimarranno lì a documentare quanto solide siano diventate le basi di una società globale e multiculturale destinata a resistere ai cicli politici. Esse testimoniano la solidità di un cammino di convergenza tra Oriente e Occidente che è andato troppo avanti nella vita collettiva di miliardi di persone perché possa spezzarsi.
“Convergenza” permarrà dunque come una delle parole-chiave della nostra epoca, nonostante i tentativi di sottrarle significato e valore.