Economia e Finanza

Citywire

• Osservatorio Global Bonds •

In conseguenza delle differenti condizioni che contraddistinguono Europa e Stati Uniti, le Banche Centrali sulle due sponde dell’Atlantico stanno implementando politiche monetarie di tenore divergente. Il 2 maggio, infatti, la Fed – pur lasciando inalterato il tasso di riferimento all’intervallo 1.50%/ 1.75% – ha confermato l’intenzione di proseguire nella graduale stretta monetaria iniziata a fine 2015 che consiste nel progressivo incremento del costo del denaro e nella concomitante riduzione delle dimensioni del proprio bilancio.

I vertici di Constitution Avenue hanno infatti evidenziato la solidità della crescita e del mercato del lavoro a stelle e strisce e ribadito la convinzione che l’inflazione sia destinata a rimanere nel medio termine prossima all’attuale livello, sostanzialmente in linea con l’obiettivo pari al 2%.

Emblematico, in tal senso, è il fatto che a marzo il PCE Core (Personal Consumprion Expenditure al netto di energia e alimenti), misura prediletta della Fed, abbia raggiunto l’1.9% annuo – massimo dall’estate 2012. Il 26 aprile, viceversa, la BCE ha confermato che il tasso di riferimento e quello sui depositi bancari presso sé medesima (attualmente pari a zero e -0.40%) rimarranno invariati per un prolungato periodo di tempo, ben superiore al termine – oggi previsto a settembre – del programma di acquisto di titoli. Sono infatti stati sottolineati a più riprese il recente rallentamento del ritmo di espansione dell’attività economica e soprattutto l’estrema esiguità delle pressioni inflattive nell’Area Euro.

Ad aprile l’inflazione al consumo si è attestata all’1.2% tendenziale e la misura “core” è scesa a 0.7%, permanendo lontanissima dal target anche in questo caso fissato al 2%. Oltre che dalla dicotomia di natura monetaria, i mercati obbligazionari risultano influenzati anche da quella – egualmente evidente – sul fronte fiscale. La Commissione Europea, infatti, prevede oggi che nel 2018, per la prima volta dall’entrata in vigore della Moneta Unica, nessun paese dell’Unione avrà un deficit superiore al 3% del PIL.

Il Congressional Budget Office, al contrario, stima che in conseguenza della recente riforma fiscale espansiva, il disavanzo delle finanze pubbliche di Washington aumenterà dai 665 miliardi dell’esercizio precedente a 804 miliardi di dollari nei dodici mesi che termineranno il 30 settembre prossimo prima di accrescersi ulteriormente a 981 miliardi nel successivo costringendo il Tesoro a incrementare l’ammontare delle emissioni di Titoli di Stato.

Da fine marzo, infatti, gli yield dei Treasury sono saliti di una ventina di punti base lungo tutta lo spettro delle scadenze e il decennale d’Oltreoceano rende attualmente poco meno del 3% in netto aumento dal 2.45% di inizio gennaio. La curva governativa americana risulta, tuttavia, piuttosto piatta come conferma lo spread, inferiore allo 0.5%, tra titoli a due e dieci anni. Più contenuto – e in larga misura legato all’effetto trascinamento esercitato dai bond USA – è stato l’incremento del costo del servizio al debito dei Bund tedeschi: indebitarsi a dieci anni costa oggi a Berlino lo 0.58% ovvero solamente lo 0.15% in più che a inizio anno.

Il debito italiano continua, invece, almeno per il momento, a costituire eccezione al generalizzato aumento dei rendimenti dei Governativi europei e nordamericani verificatosi da inizio 2018, nonostante la concitata fase politica in atto nel Nostro Paese. L’eventuale protrarsi dell’attuale stallo istituzionale in Italia, tuttavia, potrebbe innescare nel prossimo futuro una nuova ondata di volatilità sui BTP.

In ambito Corporate – sia high yield sia soprattutto investment grade – gli spread creditizi continuano a essere molto contenuti sia sul mercato europeo sia su quello americano. La solidità della crescita economica globale e – nel caso degli USA – l’alleggerimento della pressione fiscale si riverberano infatti positivamente sui conti delle aziende.

Il sopra citato incremento dei rendimenti del debito pubblico di Washigton e il recente rafforzamento del dollaro sul mercato dei cambi si è, infine, ripercosso negativamente nelle ultime settimane sui corsi dei Governativi e sulle divise di numerosi Paesi Emergenti.

Buona parte di questi sono anche interessati dall’avvicinarsi di importanti tornate elettorali (Brasile, India, Messico e Indonesia) o da idiosincrasie di natura geopolitica (Russia). Nell’attuale contesto il maggior rischio per gli investitori sembra attenere a una possibile accelerazione dell’inflazione – negli USA in particolare – in grado di accelerare la stretta monetaria della Fed e, conseguentemente innescare un ulteriore incremento dei rendimenti.

Le migliori opportunità di mercato, invece, paiono concentrarsi sui Corporate dollaro denominati di breve scadenza o a tasso variabile(in particolare quelli dotati di miglior merito creditizio), sui TIPS e, in Europa, sui titoli subordinati di alcune, selezionate e solide, realtà bancarie.