Citywire
• Osservatorio Global Bonds •
Le due più importanti Banche Centrali mondiali non dovrebbero modificare – almeno nel breve/ medio periodo – le traiettorie delle rispettive politiche monetarie il cui andamento non si discosterà pertanto da quanto recentemente dichiarato.
La Fed, in tal senso, dopo averlo lasciato inalterato a inizio agosto, aumenterà con tutta probabilità di 25 punti base il tasso di riferimento – portandolo all’intervallo 2%/ 2.25% – in seguito alla riunione del Comitato Esecutivo (FOMC – Federal Open Market Committee) in programma il 25 e 26 settembre prossimi.
Durante il consueto meeting delle maggiori Autorità Monetarie tenutosi a fine agosto a Jackson Hole, il Governatore Jerome Powell ha infatti difeso l’operato dell’Istituzione che presiede reiterando l’intendimento di proseguire nell’attuale, graduale, stretta monetaria allo scopo di evitare di frenare l’economia ma anche di surriscaldarla consentendo all’inflazione di crescere troppo rapidamente.
La BCE, invece, che si riunisce il 13 settembre, confermerà certamente le intenzioni di terminare il proprio programma di acquisto di titoli di Stato e Corporate a fine anno, di mantenere le dimensioni del proprio bilancio immutate per un prolungato periodo di tempo e di non procedere a un rialzo del costo del denaro prima dell’estate 2019.
Ad agosto, tuttavia, il mercato obbligazionario – ben più che le prospettive in termini di politica monetaria – ha prezzato le crescenti tensioni geopolitiche su scala globale e i problemi politici ed economici che caratterizzano Turchia, Brasile e, sebbene in misura inferiore, l’Italia.
Nelle ultime quattro settimane, infatti, i Bund e dei Treasury, asset percepiti come sicuri, si sono – pur lievemente – apprezzati. I rendimenti dei Titoli di Stato tedeschi a due e dieci anni sono oggi rispettivamente pari a -0.60% e +0.35%; quelli dei Treasury di pari scadenza si attestano intorno al 2.65% e al 2.85%, livelli in tutti i casi inferiori a quelli di fine luglio.
La minor propensione al rischio si è riflessa anche sugli spread creditizi, aumentati dello 0.15% in Europa e dello 0.10% in USA in ambito High Yield e rimasti invece molto contenuti per quanto attiene ai titoli Investment Grade.
Ben più consistenti, e di tenore opposto, sono invece stati i movimenti delle curve registratisi in numerosi Paesi Emergenti. Su quasi tutte le economie emergenti incombe infatti il rischio legato alla possibile deflagrazione di una vera e propria guerra commerciale di dimensioni planetarie, cui in alcuni casi si somma l’estrema incertezza politica interna.
Gli yield dei Governativi di Ankara, in tal senso, ad agosto sono balzati di 600 punti base sulle brevi scadenze e di oltre 400 sulle lunghe in virtù della grave crisi finanziaria del Paese evidenziata dal tracollo della Lira – deprezzatasi ad agosto contro il Dollaro e l’Euro in misura superiore al 25%.
La curva turca è invertita, il rendimento eccede il 26% a due anni e il 22% a dieci, livelli evidentemente insostenibili. Il costo del servizio al debito brasiliano si è, invece, incrementato dell’1% circa lungo tutto lo spettro delle scadenze causa le Elezioni Politiche in programma a ottobre, in vista delle quali i sondaggi prevedono ampio consenso per il Partito dei Lavoratori dell’ex presidente Lula – oggi incarcerato – e per il PSL guidato dal populista di destra Bolsonero.
Nessuno dei due partiti – qualora vincitore – sembra intenzionato a implementare la stretta fiscale imprescindibile al fine di risanare i disastrati conti pubblici nazionali. L’unica, significativa, eccezione al sostanziale stallo che ha contraddistinto ad agosto i prezzi dei Governativi dei paesi industrializzati è rappresentata dal debito italiano.
Nell’ottavo mese dell’anno i rendimenti dei BTP con scadenza biennale e decennale sono lievitati di 55 e 45 punti base raggiungendo rispettivamente l’1.30% e il 3.15% valori abbondantemente al di sopra non solo di quelli dei paesi “core” quali Germania e Francia, ma anche degli altri periferici (Spagna e Portogallo) con l’unica eccezione della Grecia. L’attenzione dei mercati verte sull’imminente varo da parte dell’Esecutivo di Roma della nota di aggiornamento al DEF (Documento Economico Finanziario) prevista a fine settembre e sulla presentazione entro il 15 ottobre della Legge di Bilancio 2019.
Gli investitori temono che le promesse elettorali e le recenti dichiarazioni di alcuni esponenti dell’attuale compagine governativa si traducano in un allentamento della politica fiscale in grado di interrompere la progressiva riduzione del deficit dello Stato intrapresa negli ultimi anni.
La tensione tra l’Esecutivo e le Istituzioni Comunitarie risulta aggravata dal profondo disaccordo sul tema dell’immigrazione. Tra maggio e giugno 2018, in tal senso, gli stranieri hanno venduto BTP per oltre 70 miliardi (dato peggiore mai registratosi).
Nel medesimo periodo le banche italiane hanno comprato oltre 40 miliardi di titoli di Stato, incrementando la propria dipendenza dal debito pubblico. Nell’attuale contesto, i maggiori rischi per l’obbligazionario emergente attengono a un ulteriore acuirsi delle tensioni commerciali che oppongono l’Amministrazione repubblicana statunitense a Cina ed Europa e – nel caso del Nostro Paese – alla succitata futura gestione dei conti pubblici nazionali.
L’eventuale presentazione da parte del Governo Conte di un programma economico che determini un consistente peggioramento del rapporto deficit/ PIL, infatti, si ripercuoterebbe negativamente sui prezzi dei BTP e, conseguentemente, dei titoli di debito degli istituti bancari italiani.
Entro fine ottobre, in tal senso, le maggiori agenzie di rating – Fitch, Moody’s e Standard&Poor’s – aggiorneranno il proprio giudizio sull’Italia.