Citywire
• Osservatorio Global Bonds •
Le Autorità Monetarie dei maggiori Paesi industrializzati stanno facendo presagire un progressivo abbandono delle politiche di stimolo monetario implementate nell’ultimo decennio.
Pur con dinamiche e soprattutto tempistiche estremamente differenti tra loro, in altri termini, le Banche Centrali di Stati Uniti, Europa e Giappone, paiono intenzionate a normalizzare gradualmente le rispettive politiche monetarie.
La Fed – che ha iniziato la stretta a fine 2015 – prevede attualmente di rialzare il tasso di riferimento, oggi fissato all’intervallo 1.75%/ 2%, altre due volte nel 2018 e tre nel 2019 e prosegue nel ridurre le dimensioni del proprio bilancio per un ammontare mensile pari a 40 miliardi di dollari destinato a salire a 50 miliardi da inizio settembre.
Il Governatore Powell, in tal senso, durante la consueta audizione innanzi alla Commissione Finanza del Senato, ha reiterato il proprio ottimismo a riguardo dell’economia USA il cui andamento si mantiene solido sottolineando in particolare il solido andamento del mercato del lavoro e la stabilità dell’inflazione su livelli prossimi all’obiettivo pari al 2%.
Benché abbia mantenuto il 26 luglio invariati a zero e -0.40% il tasso di riferimento e quello sui depositi bancari a un anno – confermando l’intenzione di non rialzarli prima dell’estate 2019 – anche la BCE si avvia a concludere lentamente la fase espansiva avviata a fine 2011.
Le dimensioni mensili del programma di acquisti di titoli di Stato e Corporate – oggi pari a 30 miliardi di Euro – diminuiranno a 15 miliardi negli ultimi tre mesi dell’anno al termine dei quali il QE dovrebbe essere chiuso. Così come il suo collega d’Oltreoceano, Draghi si è detto fiducioso circa le prospettive di crescita del Vecchio Continente, pur non scevre da rischi di natura esogena, e speranzoso che le pressioni inflattive tornino nel medio termine a collimare con il target (anche in questo caso pari al 2%).
La Banca del Giappone, infine, a luglio ha lasciato trapelare la possibilità di una modifica al rialzo dell’obiettivo in termini di rendimento dei titoli di Stato decennali – attualmente pari a zero – che si rifletterebbe in una riduzione degli acquisti di bond governativi finalizzati al mantenimento del suddetto livello.
La minor liquidità immessa dalle Autorità Monetarie, la conseguente maggiore quantità di titoli di Stato disponibili sul mercato, unitamente alla crescita economica planetaria piuttosto robusta e all’inflazione in fase di pur graduale rafforzamento dovrebbe tradursi nella salita e nell’irripidimento delle curve sul mercato obbligazionario.
Tale movimento, tuttavia, risulta rallentato dai timori legati alle conseguenze dell’eventuale deflagrazione di una vera e propria guerra commerciale tali da incrementare almeno momentaneamente la domanda di asset considerati sicuri.
A luglio, infatti, i rendimenti dei Treasury sono risaliti solamente di 15 punti base sulla parte breve della curva e di una decina sulla lunga. Ancor più risicato è stato l’aumento degli yield sui titoli di Stato tedeschi. Il decennale di Washington, in tal senso, rende attualmente poco meno del 3% ovvero lo 0.15% in meno del livello raggiunto a metà maggio e l’omologo tedesco paga lo 0.40%, valore sostanzialmente identico a quello di inizio anno.
Nel settimo mese dell’anno, inoltre, gli spread creditizi dei Corporate denominati in dollari ed Euro sono tornati a flettere in misura pari allo 0.10% in ambito investment grade e di oltre lo 0.2% per quanto attiene agli high yield.
Nel recente passato e molto verosimilmente nel futuro di breve/ medio termine, viceversa, del prezzo delle obbligazioni – di Stato e bancarie – italiane è dipeso e continuerà a essere influenzato dall’incertezza politica che caratterizza il Nostro Paese ben più che dalle dichiarazioni di intenti delle Banche Centrali e dalla dinamica di crescita, inflazione e misure protezionistiche su scala globale.
Dopo il violentissimo balzo di fine maggio seguito dal parziale ritracciamento, in tal senso, i rendimenti dei BTP sono rimasti pressoché inalterati a luglio ma si attestano oggi intorno allo 0.7% su scadenza biennale e al 2.70% sul decennale, numeri in ambo i casi abbondantemente al di sopra non solo di quelli che contraddistinguono i paesi “core” quali Germania e Francia, ma anche di quelli degli altri periferici (Spagna e Portogallo) con l’unica eccezione della Grecia.
La volatilità dei titoli di debito italiani potrebbe tornare a incrementarsi anche notevolmente durante i prossimi mesi quando il Governo di Roma dovrà presentare il DEF (Documento di Economia e Finanza) e la legge di bilancio per il 2019. L’attenzione dei mercati verte, in particolare, sull’eventuale riforma dell’attuale legge pensionistica e sull’effetto sui conti pubblici delle misure fiscali espansive a più riprese promesse dai partiti che sostengono l’Esecutivo Conte.
Gli investitori, infine, nelle ultime settimane sono tornati ad acquistare i titoli di Stato di alcuni paesi emergenti, colpiti durante la prima metà del 2018 da una forte ondata di vendite innescata dalla stretta monetaria USA e acuita dai succitati timori legati alleschermaglie doganali tra USA, Europa e Cina.
A luglio, infatti, gli yield dei Governativi di Paesi quali Sud Africa, Brasile e Indonesia sono diminuiti – in alcuni casi sensibilmente – ele rispettive divise sono tornate ad apprezzarsi contro Euro e Dollaro in seguito all’indebolimento occorso nei primi sei mesi dell’anno.
L’eccezione più evidente a tale trend è costituita dalla Turchia la cui curva – salita di oltre 600 punti base da inizio gennaio – si presenta attualmente invertita e risente dell’inflazione fuori controllo, della scarsa indipendenza della Banca Centrale e del grave peggioramento del rapporto di cambio della Lira locale nei confronti di tutte le principali valute.