Prospettive
Reloaded
L’aggettivo “globale” ha dominato il primo ventennio del Duemila, e “Prospettive” si è da subito sintonizzata su questa onda, configurandosi come un ciclo di esposizioni nelle quali si sono unite economia, cultura e geografia. D’altra parte, la fotografia ha contribuito sin dalla sua nascita a rendere il mondo più piccolo, assieme ai nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto: la sorpresa di vedere comodamente seduti nella poltrona di casa le meraviglie di un mondo sino ad allora sconosciuto – o raccontato solo attraverso le parole di avventurosi testimoni – è stata decisiva per la formazione del mondo contemporaneo tanto quanto l’invenzione del telegrafo o della ferrovia (per dire di due invenzioni più o meno coeve a quella della fotografia). Per sette anni, sulle pareti di questo corridoio si sono avvicendate immagini che hanno mostrato, attraverso diversi linguaggi fotografici e approcci mentali, le metropoli dell’Estremo Oriente e la vastità del continente americano, le stratificazioni culturali dell’Iran e la vitalità di una capitale africana come Lagos; insomma, hanno portato per l’appunto nel centro di Torino immagini e riflessioni nate e compiute a migliaia di chilometri di distanza, in quella magica sovrapposizione di tempi e luoghi che l’invenzione della fotografia ha concesso all’uomo.
Nulla di più facile, dunque, che immaginare come mostra riassuntiva di questo ciclo di esposizioni una sorta di viaggio, non scandito però per tappe geografiche o temporali, ma concepito come il viaggio di uno sguardo proveniente dall’esterno sulla terra, come l’esplorazione del nostro continente da parte di un occhio e di una mente che scoprono man mano forme e ragioni della terra e della presenza dell’uomo su di essa. Si apre allora con la sfera di Noémie Goudal, forse un altro pianeta, o forse il nostro pianeta visto dall’esterno; uno sguardo dall’alto, come quelli di Olivo Barbieri e di Mishka Henner, il primo concentrato sulla metropoli, con l’inestricabile viluppo delle sue arterie e dei suoi edifici, il secondo su una porzione di terreno all’apparenza naturale, in realtà sfruttato dall’uomo per permettere la vita delle città come Shanghai. E’ anche, questo dittico, un ideale luogo di passaggio tra la visione comunque umana – quella dell’apparecchio fotografico usato da Barbieri – e quella delle macchine – le riprese satellitari dalle quali è tratta la composizione di Henner. Presente e futuro di un viaggio che riprende la misura umana con le immagini di Walter Niedermayr e Francesco Jodice, come se la navicella proveniente dallo spazio stesse atterrando, definendo meglio le forme e le sagome delle città, fino al momento in cui si tocca terra con un’altra immagine di Jodice, nella quale tecnologia e natura si fondono letteralmente (e anche ironicamente) nella continuità del profilo montuoso, tra la realtà e la sua rappresentazione.
Da questo momento, fa la sua apparizione la figura umana, il viaggio passa dalla dimensione paesaggistica a quella ritrattistica, a partire dalla connessione inscindibile e paradossale di Liu Bolin: è l’uomo che è diventato parte del paesaggio e della storia, o sono questi ultimi che sono diventati parte dell’uomo? In ogni caso, è il volto l’elemento centrale di questa visione, poiché implica l’affermazione non solo di un’individualità, ma di un’identità, sempre messa in discussione, sempre in mutamento come il mondo stesso, riscontrabile nelle immagini di Zanele Muholi. Ed ecco allora, la globalità della visione che ci presenta dapprima l’astronauta immaginario di Cristina de Middel (che, forse, è il narratore di questa storia) e infine la figura misteriosa di Lorenzo Vitturi, la cui fisionomia ci è nascosta ma che immaginiamo come una sintesi di tutte le figure incontrate lungo questo viaggio all’interno di un corridoio incantato.
Walter Guadagnini
Un progetto a cura di Tosetti Value per l’Arte
Esposto:
Aprile 2021 / Gennaio 2023